Pompei, lo abbiamo letto tante volte, è la metafora e il destino dell'Italia.
Sono una persona semplice e non ho mai contato in nulla, neanche nella decisione fondamentale della vita di tutti i giorni: cosa guardare in televisione. Figuriamoci cosa conto per la decisione del direttore generale che ha in mano il destino di Pompei. Ma, in fatto di cultura e beni culturali, qualcosa la so perché ho avuto un'altra fortuna, quella di poter studiare. Il resto provo a capirlo.
Leggendo quello che ha scritto e detto il ministro Bray nel corso di questi mesi, qualche speranza mi è venuta su quanto possa contare un post scritto così, su un blog appena aperto, ma aperto con passione. Forse, più di quello che avrei pensato mai.
In questi ultimi due giorni, però, io Bray l'ho sentito diverso. L'ho sentito scoraggiato, disorientato.
Quello che a Pompei crolla, si sfarina, si cancella per sempre non è 'solo' una città morta: è la città dei vivi, l'idea di polis, di comunità, di Stato. E questo è vero alla lettera: in modi che nemmeno gli osservatori più critici potrebbero sospettare.
Cosa aspetta Bray a nominare il superdirettore?
Ogni giorno che passa il ministro per i Beni culturali (e del Turismo, ok, come recita la targhetta diligentemente cambiata sull'intestazione del sito del MibacT) sono molte le critiche che gli vengono rivolte per non voler nominare uno dei soliti noti. Ci avete pensato che il parlamento ha cambiato il suo decreto prevedendo un direttore e vice per poter mandar a Pompei una persona di una parte politica e una dell'altra?
Quello che si chiede a Bray è di assecondare questo modo di fare che noi studenti, ricercatori, cittadini non sopportiamo più.
Mentre a Roma e su Twitter si discute, Pompei brucia. Perfino i fantasmi di Sandro Bondi e Giancarlo Galan sono tornati a materializzarsi, per gettare alcune palate di fango sul loro successore.
Ma prendersela con Bray secondo me vuol dire sbagliare bersaglio. Perché? - diranno i miei piccoli lettori, magari fan come me dei Bronzi di Riace che twittano, dei luoghi in cui nella cultura puoi ancora passeggiarci o solo delle cose belle o fatte con la testa, sebbene qualche volta tra le nuvole.
Perché, a differenza dei suoi predecessori, Bray ce la sta mettendo tutta, dall'approvazione del decreto. Cercando di non affondare, giorno dopo giorno, nella melma del sottogoverno e della corruzione del Paese.
D'altra parte, sono in ballo diverse centinaia di milioni di euro: una delle imprese più importanti che si faranno nei prossimi anni. Un'impresa che assomiglia alla TAV. E quando le cifre sono queste, non c'è ministro che tenga: quando il gioco si fa duro entrano i poteri forti. Legali, e non.
E poi è cominciato il massacro del nome. Dal momento che la nomina spetta a Enrico Letta, Bray può solo proporre. E nessuna delle sue proposte ha avuto la minima considerazione, perché non sono proposte 'politiche', che non rimandano a logiche lobbistiche.
Eppure i nomi che si sono letti in giro rispondevano al profilo che serve a Pompei: archeologi, uomini del ministero che si sono misurati in imprese simili, professori universitari che hanno messo al centro della loro vita la ricerca.
Bray pensava a un direttore giovane e preparato, pulito e carico di futuro: un archeologo, un urbanista, un economista. Qualcuno che potesse riannodare i legami tra la Pompei archeologica e quella moderna, un parco-scuola dove formare giovani, trasformarla nel posto più bello del mondo. Questo lo ha detto fin dai primi giorni della sua campagna elettorale, scrivendolo sul suo sito. E noi gli abbiamo creduto.
Ma per una cricca campana che vuole trasformare Pompei in un luogo di business, ignorando i suoi veri valori, una nuova Terra dei fuochi, la prospettiva è un'altra.
Ci sarà forse qualche coincidenza con la Fondazione Pompei? Basta leggere Wikipedia – "[...] la Fondazione Pompei, il cui statuto è stato approvato dal Comune di Pompei con delibera del 23 Luglio 2013. L'obiettivo generale della Fondazione Pompei è quello di tutelare e valorizzare, in termini culturali ed economici, i beni di interesse archeologico di Pompei, Oplonti ed Ercolano, promuovendo un programma di marketing territoriale che contribuisca a sostenere l’immagine internazionale di Pompei, sollecitando finanziamenti pubblici e privati nella città, nonché di ottimizzare l’offerta di beni e servizi culturali sul territorio pompeiano".
Tradotto in soldoni: cemento, affari, quattrini. Senza andare tanto per il sottile, in un territorio dove la Camorra la tocchi con mano e se non stai attento ti mangia a colazione.
Ricordiamoci che è Letta a dover firmare una scelta del genere che, come abbiamo visto, può avere due esiti molto differenti.
Tutti gli ottimi nomi proposti da Bray sono stati bruciati, con una regia ben organizzata, sulle pagine del "Mattino", quotidiano napoletano dei Caltagirone. E lo stesso giornale ha incoronato quello che dovrebbe essere il candidato ideale: scarsa o nessuna conoscenza scientifica, urbanistica, civile, ma solo senso di appartenenza. Salvatore Settis proprio ieri su Repubblica ha spiegato benissimo: "[...] nella corsa all'incompetenza che è fra gli sport più amati dagli italiani, si ritiene che gli incarichi di vertice nei beni culturali non vadano agli esperti ma a manager tuttofare, pronti a saltare agilmente da McDonald's o da una banca ad alte responsabilità ministerali".
Un commis ignoto ai molti ma funzionale al binomio potere&affari. Appena viene fuori questo nome, Gian Antonio Stella sul "Corriere" e Salvatore Settis su "Repubblica" lo definiscono inaccettabile, incomprensibile, grottesco.
Ma la cricca non si ferma, il nome resta sul tavolo nonostante tutto. E i giorni passano, e a Pompei i muri cadono: con tempismo davvero straordinario.
Siamo alla cronaca di queste ore. Cosa escogiterà la cricca? Come risponderà Bray? A noi ricercatori e cittadini campani che abbiamo creduto che attraverso di lui si potesse davvero ricreare un rapporto diverso tra la politica e i cittadini resta una sola speranza: che non accetti questo meccanismo ignobile ma vada via facendo capire di non far parte del loro gioco. Noi lo seguiremo.
Eppure un direttore generale col profilo 'nuovo' sarebbe potuto servire. A cosa? A contrastare, insieme al brutto, allo sfacelo e allo stesso inesorabile scorrere del tempo, anche la camorra. Se la Presidenza del Consiglio non vuole un direttore così, perché?
Se Bray si arrende, lo scopo del Ministero per i Beni culturali è terminato davvero. Ma intanto è addio anche a Pompei, a quello che è stata, a quello che è e a quello che avremmo voluto rappresentasse: la metafora più riuscita che oggi i giornalisti e domani gli storici potrebbero mai trovare del destino di una nazione finita.
Da oggi saranno ancora di più quelli che non crederanno nella rappresentanza politica.
Non mollare Bray.
Cave Canem, un cane da guardia di Pompei (@accuortaocane)